La notizia è questa: L’Ufficio Tradizioni Popolari Fiorentine cerca un fotografo ufficiale per gli eventi e la remunerazione è data dalla visibilità e due biglietti per il Calcio Storico.
Quanti hanno optato per l’amico fotografo in un evento piuttosto che assoldare e pagare un vero fotografo? Del resto se doveste riparare un tubo ed un vostro amico lo sa fare e ve lo farebbe gratis lo chiamereste l’idraulico? Oggi si ritiene che tutti sappiano scattare fotografie e se ci atteniamo al mero atto di scatto è anche vero.
Il punto è che fra tutte le arti, la fotografia viene percepita come la minore fra le arti che necessità di conoscenze e abilità (così si crede) molto superficiali. Spesso si ritiene che il fotografo sia solo un pittore o un disegnatore che non sappia però disegnare o dipingere e per questo fotografa. Si associa la fotografia all’oggetto che fa la foto, cioè la macchina fotografica, e la macchina fotografica oggi è l’oggetto più semplice e più diffuso che ci sia. Perché quindi pagare per una cosa che potrei fare in proprio o far fare a qualche persona a cui però non riconosco alcun valore se non quello di premere un pulsante?
Il mercato della fotografia o meglio la professione del fotografo professionista non è messa in crisi solo e soltanto, come si crede comunemente, da tutti coloro che non ne riconoscono un valore di per se. Sono spesso le case stesse produttrici di macchine fotografiche e quindi della tecnologia necessaria per la foto che per prime decretarono la morte della professione.
Suona strano, ma se ci fermiamo a riflettere eravamo ancora all’inizio del secolo quando la Kodak lanciò lo slogan:
“You press the button, we do the rest”
Con il quale pubblicizzava le sue nuove fotocamere.Quello slogan in nuce aveva la morte del fotografo come professione.
Non moriva allora la fotografia e non muore neppure oggi, ma moriva il concetto di dover pagare qualcuno per fare una foto: si passava già all’epoca dalla cultura della fotografia come ricerca a quella dell’immagine.
ironia della sorte, anche la Kodak finì travolta da quel progresso tecnologico che pure, all'inizio della sua storia, aveva sposato.
Negli anni più recenti il perfezionamento tecnologico, la crisi di settori trainanti come l’editoria e la nascita di nuove tecnologie hanno fatto il resto. Oggi l’utente medio che non si accontenta dello smartphone quando compra una macchina fotografica chiede “se fa buone foto”, cioè pone la domanda a cui la Kodak rispose all’inizio della sua storia.
Ovviamente il produttore di macchine fotografiche risponde a questo bisogno, fornisce lo strumento per fare buone foto e chi possiede lo strumento fa buone foto, ma chi fa buone foto non necessita di esser remunerato perché preme solo un pulsante: al resto pensa la macchina fotografica. Quando si chiede con che macchina o lente o altro è stata scattata una foto stiamo spostando l'attenzione proprio mezzo tecnico, come se quello potesse, da solo, fare la foto.
Quello che andrebbe invece rivalutato non è l’atto di fotografare ma l’atto di vedere: non si dovrebbe remunerare un fotografo perché “sa scattare buone foto”, ma perché vede ciò che io non riesco a vedere a prescindere da come e con che cosa scatto. In fondo se decidete di acquistare un quadro vi chiedete con quali strumenti ha dipinto l’artista? Forse sarebbe opportuno rivalutare la figura dell’artista e riconoscergli un valore non al suo prodotto ma alla sua idea e visione e di certo non tutti coloro che fanno fotografie hanno una visione e un’idea.