Partiamo dalla notizia: “Una foto non è per sempre” articolo flash su Internazionale che traduce e riprende una notizia del Time del 3 dicembre 2014.
In breve un noto fotografo di Instagram Richard Koci Hernandez cancellerà tutte le sue foto il 6 dicembre 2014 dopo aver riflettuto sul fatto che una foto non deve sopravvivere per sempre come succede sul web e che, ad esempio, nelle mostre puoi avere l’esperienza della visione delle foto finché c’è la mostra, dopo puoi solo vedere una loro riproduzione ma ad un certo punto l’esperienza finirà. Su internet l’esperienza non finirà mai ed anzi internet non dimentica mai: quindi il fotografo dovrà sempre confrontarsi con scatti che non rispecchiano più la sua evoluzione artistica e fotografica.
Al di là di un atteggiamento che può sembrare snob, il punto è proprio questo: è vero che internet “seppellisce” le foto sotto migliaia di foto più recenti ma non le “dimentica” mai, per cui si avrà sempre memoria di foto che non rappresentano più il fotografo e l’artista.
E’ giusto mantenere sempre in vetrina le proprie foto, i propri scritti o qualsiasi altra forma di pensiero e/o arte?
L’esperienza che si realizza in una visione unica non è forse più coinvolgente e totalitaria di una forma di arte “continua” e continuativa quasi sempre come se fosse uno spot pubblicitario e autocelebrativo senza sosta?
L’uso continuativo dei social media e delle nuove tecnologie se da un lato sono un ottimo veicolo per l’arte in generale e la fotografia in particolare, dall’altro finiscono per svilire e banalizzare proprio quell’attività che meriterebbe una esperienza visiva (nel caso della fotografia) più intensa e coinvolgente come potrebbe essere quella che si realizza durante una visione più limitata nel tempo piuttosto che in un flusso continuo e ininterrotto di immagini postate su internet.
Viviamo in periodo dove, mai prima d’ora, la fotografia ha raggiunto livelli di diffusione vastissimi ma ciò ne ha creato anche il suo svilimento: una fotografia così veloce da essere “consumata” senza alcuna attenzione. Non solo la fotografia veicolata attraverso internet si è trasformata in una fotografia “usa e getta” o meglio “guarda e vai oltre”, una fotografia con poco contenuto e scarsa forma, ma anche molta della fotografia utilizzata sulla stampa, complice anche la crisi dell’editoria, e che più avrebbe dovuto difendere il ruolo stesso della fotografia, ha finito per soggiacere alle regole di una fotografia immediata ma povera.
Ora di sicuro non tutta la fotografia subisce questo processo di livellamento verso il basso e svilimento attraverso internet, ma certo internet favorisce il processo che porta ad una scarsa riflessione davanti all’immagine: un po’come leggere un libro saltando interi paragrafi e capitoli, magari se ne comprende anche il senso ma si perde il gusto della lettura e dell’esperienza che se ne trarrebbe.
Per cui credo che il nostro Hernandez abbia riflettuto proprio su tutto ciò e alla fine sia giunto ad una decisione che posso anche comprendere.