Koudelka: in poche parole

Di Josef Koudelka avevo già parlato in precedenza, voglio tornare su quest'interessante autore perché ho trovato in rete una sua rara intervista per giunta in italiano.

In questa intervista, per la verità molto breve, Koudelka esprime il suo pensiero che trovo interessante su due concetti fondamentali: 1) la sua idea di artista e 2) la non categorizzazione della fotografia.

Riguardo al primo concetto, chi può definirsi artista, non usa mezzi termini: per lui artista è chi riesce a compiere un miracolo, una concezione estrema ma che magari lascia pensare detto da lui.

In merito invece alla categorie (paesaggio, ritrattista, etc.) molto semplicemente per lui non esistono (e si da il caso che mi trovo molto concorde con lui) e porta un esempio veramente interessante.

Chi avrà voglia potrà vedere l'intervista qui di seguito:

  

Saul Leiter

Qualche giorno fa, il 26 novembre, è morto a New York un grande fotografo che ho ammirato moltissimo per la sua capacità di coniugare all'interno della fotografia di strada una ricerca pittorica. In effetti lui non era interessato alla fotografia di strada a scopi documentaristici ma piuttosto ricercava la bellezza nei dettagli delle immagini comuni. Per la verità fu anche un fotografo di moda ed uno fra i primi nel dopoguerra ad abbracciare la fotografia a colori.

Recentemente un film documentario di quest'anno ne racconta la vita e il suo lavoro: "In No Great Hurry" di Tomas Leach

Così scriveva delle sue passioni per la fotografia e per la pittura:

“Ancora oggi, non ho perso il piacere di osservare le cose e ammirarle e scattare fotografie o dipingere. A volte, mi sveglio nel mezzo della notte e prendo un libro di Matisse, o di Cézanne o Sotatsu. Un dettaglio che non avevo notato prima, di colpo attrae la mia attenzione. Dipingere è magnifico. Quando mi stendo sul letto penso alla pittura. Amo fotografare ma la pittura è un’altra cosa. Ho sempre fotografato in modo molto libero, senza avere in testa nessuna particolare immagine, fotografia o dipinto, che sia. Chi vede i miei dipinti pensa che esiste una relazione tra l’uso del colore nei miei quadri e nelle fotografie. … Cerco di rispettare determinate nozioni di bellezza anche se per qualcuno si tratta di concetti vecchio stile. Certi fotografi pensano che fotografando la miseria umana, puntano i riflettori su problemi seri. Io non penso che la miseria sia più profonda della felicità.”

Lettera di George Rodger al figlio

La lettera che segue l'ho sempre considerata un manifesto di cosa vuol dire essere fotografo, fu scritta da George Rodger, fondatore della Magnum, al figlio ed è ancora oggi un documento fondamentale per comprendere cosa vuol dire essere fotografi.

15 luglio 1970

Mio caro Jonathan,
ho appena ricevuto la tua interessante lettera e ti ringrazio per avermi inviato alcune copie delle tue prime fotografie. Mi è piaciuta specialmente quella che hai fatto a Stonehenge in cui hai ripreso, invece delle pietre stesse, la loro ombra sul suolo. E’ alquanto difficile rispondere alle domande che mi poni, ma farò del mio meglio e se non comprenderai subito, ciò accadrà un poco più tardi. La tua prima domanda è senz’altro la principale e credo che rispondendo ad essa lo faccia anche per tutte le altre. Tu chiedi: – Che cosa devo fare per diventare un fotografo come te? – Se tu non avessi aggiunto quel “come te” in fondo alla frase, la risposta sarebbe stata per me molto più semplice. Come si può spiegare qualcosa di non tecnico, di non tangibile e che viene da dentro?

In realtà, avevo comprato un libro, scritto per fotografi principianti, che avrei voluto donarti per il tuo compleanno. Nella prima pagina dice che la luce viaggia ad una velocità di 186.000 miglia al secondo e nell’ultima pagina dice che un’altra parte dell’apparecchio non ancora analizzata è il mirino. Così, poiché vuoi diventare un fotografo come me, non ti regalerò questo libro per il tuo compleanno. Non lo condivido affatto. Non potrei preoccuparmi meno del fatto che la luce viaggi a 186 miglia al secondo o all’ora o al giorno. E’ davvero irrilevante. Ma invece sono convinto che il non ancora analizzato mirino è tutto ciò che c’è d’importante. Naturalmente, quando si è davvero all’inizio, bisogna imparare qualche regoletta tecnica. Lo devi fare, se vorrai esprimerti esteticamente attraverso mezzi e strumenti puramente meccanici (il fuoco, il diaframma, la velocità, etc. etc.). Ma questi dovranno diventare in fretta dei riflessi condizionati e poi dimenticati. Essi dovranno diventare per te istintivi come l’aprire la bocca per mordere una mela.
Poi, una volta stabilito questo automatismo, potrai concentrarti su quello che vedi nel mirino perché è attraverso il mirino che tu stabilisci il legame tra la realtà e la tua interpretazione di esso. Ricordalo. Qualunque cosa tu vedi sul vetro smerigliato della tua Rolleiflex è realtà.

La fotografia è ciò che tu fai di essa. Ciò che vedi nel mirino può essere brutto. Il tuo cuore può resistere appena all’orrore di ciò che vedi o i tuoi occhi annebbiarsi per la pietà e per la vergogna. Ma è tutta realtà e tu devi sapere cosa farne. Credo che nessuno saprebbe consigliarti come imparare ad usare la realtà, tranne dicendoti di essere sempre onesto verso te stesso, ma ciò è piuttosto vago. Certamente non puoi interpretare ciò che vedi nel tuo mirino e non puoi farne una buona fotografia, senza averlo prima compreso. Devi riuscire a provare una certa affinità con quello che stai fotografando; devi essere una parte di esso e nello stesso tempo restarne sufficientemente distaccato per poterlo vedere obiettivamente.
Come guardare uno spettacolo dal mezzo del pubblico ma subito partecipandovi col cuore. Sfortunatamente non c’è nessuna formula per questo tipo di “partecipazione”. E’ qualcosa che viene dall’interno. Ma puoi esercitarti in questa direzione. Dipende molto dalla tua propria personale conoscenza del mondo e dalla tua abilità a percepire ed accettare come l’altra gente ci vive. Non andresti mai molto lontano volando in jet a destra e a sinistra, tenendo un costoso apparecchio appeso al collo come un rosario, e pretendendo che il mondo non si muova intanto che tu cerchi qualche elusiva verità. Ma monta piuttosto su una vecchia auto che sia garantita per rompersi ogni qualche centinaia di chilometri e guarda come va a finire. Qualcuno ha detto che maggiori saranno le tue difficoltà, migliore sarai te stesso.

Hai mai osservato un camaleonte? E’ una specie di lucertola che cambia i suoi colori accordandoli a quelli dell’ambiente: è verde nell’erba, marrone su un tronco, rosso pallido sulla latterite. E’ un metodo molto utile che potresti cercare di imitare. Non intendo dire che dovresti diventare color caffè nel Vizagatapam o completamente nero nel Bangassu, ma voglio dire che dovresti trovare quella certa attitudine per non apparire bianco in nessuno dei due posti. Ogni nazione, razza o tribù ha la sua morale, il suo orgoglio e la sua dignità, le sue regole e le sue abitudini e molto differenti le une dalle altre.E tu devi accettare queste cose e più le conosci e meglio è. Sviluppa il tuo metodo di camaleonte fino a saperti mescolare in tutti gli ambienti e sentirti veramente a casa tua sia nella capanna di un beduino che a palazzo reale. Impara le lingue, non solo quelle europee, ma arabo, swahili, urdu; ricorda di non avere mai fretta ad est di Suez o tutti rideranno di te. Impara a mangiare con le bacchette o con le dita, senza, per amore di Allah, usare la mano sinistra.

E ovunque ti trovi, evita i trucchi. Una buona fotografia è basata sulla verità e sull’integrità.

Il trucco è solo un mezzo da poveri uomini per giustificare la loro mancanza di talento, la loro incapacità a comporre una foto senza artifici.

Fa che la composizione della tua immagine sia onesta, pura, forte e ben definita. E’ una questione di disegno e meno complicato esso è, più piacevole risulterà all’occhio.E credo che questo sia tutto ciò che posso dirti al momento. E’ così che io la vedo e la penso e non dico di avere necessariamente ragione. Ma rifletti su tutto ciò e non avere troppa fretta. Mi ci sono voluti più di trent’anni per comprendere e chiarirmi le cose; non mi aspetto che tu le digerisca in mezz’ora.
Ma, per cortesia, non scrivermi la settimana prossima dicendomi che ciò che veramente vuoi fare, terminata la scuola, è il pilota di caccia-bombardiere.

Tuo affezionatissimo padre.