Colonne di San Lorenzo, Milano 15 ottobre 2006
Il taglio dei capelli è stato per me, fin da piccolo, un rito.
Ricordo che mio padre o mio zio mi portavano da un barbiere vicino casa ed era un’attrazione incredibile quella bottega dove uomini adulti si facevano tagliare la barba e i capelli con una ritualità che per me aveva del magico oltre ad essere snervante l’attesa.
Era curiosa quella bottega dove i barbieri tagliavano, limavano, controllavano, accorciavano, ritoccavano e radevano barbe, baffi e capelli. Io nell’attesa sfogliavo le mille riviste presenti sul tavolino di formica mentre gli adulti godevano del servizio sulla poltrona che pareva quella di un papa. Quando era il mio turno non potevo godere della stessa poltrona perché necessitavo di un riduttore in modo che potermi sedere più in alto e con me il barbiere era incredibilmente veloce, quasi negandomi quel piacere che vedevo negli adulti.
Era quello un mondo affascinante, dove il ricordo del sapore delle lozioni si mischia al caldo tardo primaverile e alle luci pomeridiane tenui della bottega: un ricordo in toni seppia. Forse anche per questo sono sempre stato attratto più dalle botteghe di barbieri che dai saloni di bellezza che mano a mano cominciano a prendere piede e dove il cliente è servito su rigidi appuntamenti ed accolto in un asettico ambiente meticolosamente sterilizzato.
Oggi mi trovo a frequentare una bottega di barbieri di Milano alle Colonne di San Lorenzo, brave persone di origine siciliana che accolgono i clienti senza alcun appuntamento e che ancora hanno sul tavolino un mucchio di riviste sgualcite. Nonno, nipote e qualche aiutante rigorosamente siciliano, accolgono molto cordialmente l’ospite. L’attesa oggi non è mai molta proprio perché i clienti preferiscono i saloni immacolati, ma personalmente trovo molto più interessante trascorrere quella mezz’ora del taglio di capelli seduto sulla poltrona del “mio” barbiere di fiducia con cui spesso si discute in maniera, magari grossolana, degli avvenimenti quotidiani che una radio di sottofondo diffonde, piuttosto che dover scegliere il taglio di capelli su un catalogo come si sceglierebbe un oggetto su sito on line.
Nonostante ritengo molto interessante poter raccontare una storia fotografica delle botteghe di barbieri, non mi è capitato frequentemente di scattare fotografie ne ai barbieri ne ai loro. Però un giorno mi recai come di consueto dai miei barbieri di fiducia per il solito taglio ed avevo con me nella borsa una Leica M6 con su un 35mm e caricata con un Ilford HP5 a 400 ISO.
Salutai come di consueto e dopo una brevissima pausa d’attesa consumata consultando il giornale, mi accomodai sulla poltrona. Non avevo bisogno neppure di dire come avrei voluto il taglio dei capelli perché ormai il mio barbiere mi conosceva da lunga data e sapeva perfettamente cosa desideravo. Quindi, mentre lui iniziò a sforbiciare, si discuteva delle solite notizie curiose che la radio rilanciava mentre dalla vetrina potevo osservare i ragazzi che discutevano fra loro seduti negli spazi delle imponenti colonne romane di corso di Porta Ticinese.
Alla fine del suo servizio mi mise uno specchio dietro per mostrarmi il suo lavoro anche dietro attraverso il grande specchio che avevo di fronte e solo al mio assenso sciolse come di consueto la mantella protettiva. Mi alzai e mi diede una spazzolata sulle spalle mentre lo ringraziavo e gli porgevo i suoi soldi prendendo la mia borsa. A quel punto mi ricordai della macchina fotografica e senza troppo riflettere dissi:
“Ho dietro la mia macchina fotografica, avreste piacere se vi scatto una foto?”
“Certamente, amuninne tutti quà che fece a fotu”
Ne fu orgoglioso ed entusiasta, così entusiasta che richiamò all’ordine tutti suoi collaboratori. Mentre un suo aiutante terminava un servizio ad un altro cliente, loro si misero in posa lì accanto, inquadrai quasi velocemente e, senza troppo riflettere, scattai rapidamente due foto.
Prima di andare mi volle accompagnare al bar e prendemmo insieme un caffè e salutandolo gli promisi una stampa della foto.
Qualche tempo dopo tornai col la foto sviluppata e stampata, una stampa chimica fatta eseguendo diverse provinature prima di giungere al risultato che mi soddisfava. Quando gli la regalai ricordo ancora la gioia che ebbe nel vederla, probabilmente non la ricordava neppure più.
Passò molto tempo e io continuai a frequentare la sua bottega per il solito taglio, fui io che quasi dimenticai quella foto di molti anni prima, finché un giorno mi disse:
“Alcuni collaboratori sono cambiati qui, ma io ricordo sempre quella foto che mi facesti e che sta sempre sul mio caminetto e che spesso rimiro”.
Per me fu una enorme soddisfazione e mi piace pensare che quel piccolo scatto ha creato anche un legame storico-temporale con quell’altro barbiere che sempre lì abitava e fu ritenuto, forse ingiustamente, l’untore della peste di Milano del 1630.