Ho visto la mostra "Robert Capa In Italia"

La presentazione anche a Milano della mostra sulle fotografie scattate in Italia durante il secondo conflitto mondiale da Robert Capa è stata l'occasione per ripassare la storia ed apprezzare le fotografie di uno dei maggiori fotografi di guerra di tutti i tempi, anzi, per alcuni, il padre del fotogiornalismo di guerra.

L'allestimento allo Spazio Oberdan è meravigliosamente essenziale, se vogliamo anche un po spoglio, del resto sono esposte solo 78 fotografie: di certo non una gran mostra considerando che si tratta di Robert Capa. Si è accolti in un corridoio bianco dove sulla destra appare una sola scritta in rosso "Capa" e a sinistra la foto che lo ritrae scattata da George Rodger. Il percorso si snoda seguendo le fasi della guerra in Italia dallo sbarco in Sicilia.

Le foto colpiscono più per la loro semplicità che per la spettacolarità. Considerando la fotografia di guerra oggi si potrebbe quasi dire che la fotografia di Capa sta all'attuale fotografia di guerra come il film "Il giorno più lungo" (del 1962) sta al film "Salvate il soldato Ryan" (del 1998). Nella fotografia di Capa non c'è spettacolarizzazione degli avvenimenti e i toni cupi della guerra mi sono sembrati ammorbiditi da un bianco e nero appropriato e luminoso. Per carità, non voglio dire che un morto ammazzato in guerra oggi non sia come un morto ammazzato in guerra nel 1943, ma si nota in Capa un certo pudore, una pietas che la fotografia moderna forse non riconosce più. Capa si sofferma sulla gente, sui gesti semplici dei soldati, sulle piccole tensioni e racconta così gli avvenimenti storici di cui fu testimone. Alcune volte indugia con la sua fotocamera su atteggiamenti troppo "posati" dei soldati, ma probabilmente essenziali nella sua narrazione.

Anziana donna fra le rovine di Agrigento, 17-18 luglio 1943

Anziana donna fra le rovine di Agrigento, 17-18 luglio 1943

Dalla visita della mostra non si può non comprendere le sue famose parole: "Se le tue fotografie non sono all'altezza, non eri abbastanza vicino". Ed infatti Robert Capa è sempre dentro le situazioni, anche quando ritrae le persone in Sicilia; il fotografo partecipa quasi dei discorsi e dalle sue fotografie puoi quasi sentire l'odore del fumo delle sigarette, il rumore delle armi e il silenzio dopo un bombardamento: sono fotografie che narrano la storia e trasmettono emozioni in chi, a distanza di anni, le riguarda calandosi in quelle stessi luoghi e in quei momenti.

Una piccola curiosità sulle stampe, in un bel formato molto godibile da parte del visitatore, provengono da selezione effettuata negli anni novanta  e riprodotte da negativi originali in tre serie identiche e tutte contrassegnate con il timbro a secco "Robert Capa". La serie è composta da 937 fotografie e le tre serie sono oggi a New York, in Giappone e nel paese natale di Robert Capa in Ungheria.

Benvenuto delle truppe americane a Monreale, 23 luglio 1943

Benvenuto delle truppe americane a Monreale, 23 luglio 1943

Medico di campo americano assiste un prigioniero tedesco, Sicilia luglio 1943

Medico di campo americano assiste un prigioniero tedesco, Sicilia luglio 1943

 

Ho visto la retrospettiva Henri Cartier-Bresson di Roma

La mostra di Roma all'Ara Pacis

La mostra di Roma all'Ara Pacis

Su Bresson si è detto e scritto tutto, non ho molto da aggiungere. Ma la retrospettiva proveniente dal Centro Pompidou di Parigi e fino al 25 gennaio a Roma è stata un'occasione troppo ghiotta per non vederla. Ovviamente molte, se non tutte, le foto sono note almeno per per gli appassionati. Tuttavia la mostra ha avuto, almeno per me, alcuni punti di interesse. In primis ho potuto vedere, per la prima volta, stampe originali dell'epoca di alcuni dei più famosi scatti, e sono state proprio le stampe il punto d'interesse. Stampe ai sali d'argento, molte delle quali eseguite da Bresson stesso, con formati non molto grandi, in alcuni casi si parla di 20x30 ed anche meno: Avevo sempre viste fotografie di Bresson in libri dedicati alla sua arte, sul web, in riproduzioni e persino in pubblicità, eppure non avevo mai visto suoi libri originali o stampe d'epoca. Ed è stato proprio questo uno dei primissimi fattori che mi ha colpito in questa mostra e mi hanno fatto più compredere la grandezza della sua Fotografia.

La stampa, che siamo spesso abituati a veder riprodotta con canoni moderni di una riproduzione grande e molto contrastata, nella mostra è mediamente piccola, raramente supera il 20x30 appunto, e soprattutto non ha un forte contrasto e mascherature eccessive oltre ad avere, a causa dell'ingrandimento ridotto, pochissima grana. Questo fattore rende "diversa" la fotografia che conosciamo, sembra piatta e facciamo alcune volte fatica a riconoscerla ma se ci fermiamo un secondo davanti alla foto ne possiamo percepire la sua grandezza: non una grandezza frutto di un artificio ma per il concetto che esprime e per la sua forza concettuale. Siamo di fronte al concetto di "buona foto" rispetto a quello di "bella foto" che nell'opera di Bresson sembra una costante. La mostra segue un filo cronologico legato da alcuni filoni di sviluppo della sua opera e quindi tutte le foto sono in qualche modo collegate alla successiva come un tutt'uno e non come opera singola e quindi, a mio avviso, poco importerebbe se alcune sono frutto di una costruzione o sono spontanee.

Un altro aspetto interessante della mostra è stato poter vedere in un video della mostra gli scatti a colori in diapositiva realizzati dall'autore. Il colre viene visto come necessario in un momento in cui molte riviste si convertivano a questa nuova fotografia. Ebbene Bresson affronta il colore in modo magnifico, usandolo e non come una traslitterazione colorata della sua fotografia in bianco e nero. Per alcuni versi le sue diapositive mi hanno ricordato alcuni scatti moderni di Alex Webb

Alcuni principi rimarranno per Bresson costanti in tutta la vita e saranno dei principi cardine della moderna Fotografia, egli si esprimeva dicendo che a suo pare "la fotografia ha il potere di evocare e non solo di documentare. Dobbiamo fare astrazione dal vero", un principio assolutamente valido anche oggi a 10 anni dalla sua morte. 

The Paris Apartment

The Paris Apartment

Infine un ulteriore motivo di interesse per me è stata la composizione dell'immagine. Si parte da un aspetto tecnico che salta subito all'occhio: tutto il fotogramma è bene a fuoco, magari dovuto all'uso della tecnica dell'iperfocale a diaframmi chiusi. Tutta la scena è assolutamente leggibile, ed ogni elemento, anche il più insignificante, sembra essere in posizione perfetta. Tuttavia Bresson era un autentico credente del potere del caos, "La composizione si basa sul caso. Io non calcolo mai. Intravedo una struttura e aspetto che accada qualcosa. Non ci sono regole".  Sarà André Breton e la scuola dei surrealisti ad influenzare la fotografia di Bresson, il movimento e di conseguenza l'uso di tempi lenti saranno spesso presenti. Per lui "Il fotografo (e pazienza se sembra maleducato) deve prendere la vita di sorpresa, alla sprovvista".

Alla fine della mostra due frasi mi rimarranno  impresse come somma di tutta la magnifica opera di Bresson: "Per me la fotografia non è un lavoro, ma piuttosto un duro piacere; non cercare niente, aspettare la sorpresa, essere una lastra sensibile" e ancora "Quel che conta in una fotografia, è la sua pienezza e la sua semplicità".

Sulle sponde del Ticino, terminata la prima mostra

Domenica scorsa è terminata la mia prima mostra, "Sulle sponde del Ticino". E' stato un notevole impegno ma anche una grande soddisfazione. Non posso che ringraziare tutti anche se la location non è stata delle più agevoli soprattutto per chi non era della zona.

Ora è già tempo di intraprendere i preparativi per una riedizione di questa mostra... stay tuning e nel frattempo quì ci sono le foto della mostra.