Libri fotografici

Che sia meglio investire in un libro fotografico che nell'ultimo ritrovato della tecnologia che magari domani non ci servirà più è una cosa a cui credo fermamente.

In fondo come noi dobbiamo la nostra esistenza ai genitori e questi ai loro genitori e così via, fino a poter dire che siamo una sintesi di tutte le generazioni passate, così credo che fotograficamente non possiamo ignorare ciò che prima di noi è stato fatto e viene fatto chiudendoci in una torre d'avorio dietro un muro d'ignoranza fotografica.

Certo di libri, di autori, di generi ce ne sono un'infinità e mai si potranno conoscere tutti, ad ogni modo ognuno di noi ha alcuni riferimenti che sono stati in qualche modo i loro "genitori" fotografici.

Non sono in grado di scrivere un elenco di libri o autori fotografici e non universale e valevole per tutti, ognuno troverà i suoi interessi in ciò che più ritiene vicino ai suoi interessi, ma certamente per me alcuni libri sono stati fondamentali e illuminanti. Proverò ad elencarli in ordine sparso e magari neppure in modo definitivo ma vorrei soffermarmi su quei libri che in qualche modo sono meno sono famosi almeno per i non addetti ai lavori, quindi dalla mia lista escluderò sicuramente i libri di Cartier Bresson o Steve McCurry, non perché non siano importanti ma perché tutti forse li conoscono:

- Gordon Parks, "Una storia americana", le fotografie di reportage e cronaca ai massimi livelli

- James A. Fox, "Boxe", uno dei libri più intensi di fotografia sportiva

- Marco Anelli, "Il calcio", a mio avviso il miglior libro fotografico sul calcio

- Walter Iooss Jr, "Hoops", un riferimento sul basket made USA

- W. Klein, "Roma", la città eterna vista da un grande artista

- Don McCullin, "In England", un capolavoro sulla sua terra natale

- Leonard Freed, "Io amo l'Italia", per me un must su quella che oggi chiamiamo street photography

- Avedon, "Avedon", il riferimento sulla fotografia di ritratto e di moda

- Saul Leiter, "Early color", la fotografia di strada a colori incontra il suo maestro

- Robert Frank, "In America", l'America di uno dei più importanti fotografi

- C. Manos, "America Color 2", il colore è il tema dominante

- A. Webb, "La sofferenza della luce", la fotografia di uno grande maestro contemporaneo

- S. Shore, "Uncommon places", una fotografia unica

- Daido Moriyama, "Visioni del mondo", l'uso di una fotografia intimistica

- Koudelka, "Zingari", un vero capolavoro di reportage

Se ne potrebbero elencare molti altri, ma direi che questa breve raccolta è un buon punto di partenza per qualsiasi fotografo e genere fotografico.

Riccardo Venturi racconta una sua fotografia

L'occasione di incontrare Riccardo Venturi, vincitore per due volte del World Press Photo, si è presentata in occasione dell'inaugurazione della sua mostra allo Spazio Tadini (fino al 15 feb.).

La sua fotografia di reportage la trovo molto affascinante perché, oltre ad essere ricca di speranza, coniuga una ricerca dell'inquadratura al contenuto informativo dell'immagine. A ciò si aggiunge una ricerca anche attraverso l'uso di formati inconsueti per il reportage. Nelle sue fotografie trovo sempre una tensione fra ciò che vediamo e ciò che accade fuori dal fotogramma che crea un senso di suspense. Tuttavia la Fotografia di Venturi la trovo interessante per un altro aspetto: nonostante il lavoro di documentazione spesso tragico, è positiva, è portatrice di speranza. Anche i lavori più duri come quelli sulla tubercolosi non riesco a vederli con gli occhi della disperazione ma con lo sguardo di un futuro possibile, anche nelle circostanze drammatiche rappresentate dal fotografo. In questo senso lo trovo un Fotografo positivo. 

Non potevo perdere l'occasione per farmi raccontare la storia dietro una delle sue foto.

Ho visto la retrospettiva Henri Cartier-Bresson di Roma

La mostra di Roma all'Ara Pacis

La mostra di Roma all'Ara Pacis

Su Bresson si è detto e scritto tutto, non ho molto da aggiungere. Ma la retrospettiva proveniente dal Centro Pompidou di Parigi e fino al 25 gennaio a Roma è stata un'occasione troppo ghiotta per non vederla. Ovviamente molte, se non tutte, le foto sono note almeno per per gli appassionati. Tuttavia la mostra ha avuto, almeno per me, alcuni punti di interesse. In primis ho potuto vedere, per la prima volta, stampe originali dell'epoca di alcuni dei più famosi scatti, e sono state proprio le stampe il punto d'interesse. Stampe ai sali d'argento, molte delle quali eseguite da Bresson stesso, con formati non molto grandi, in alcuni casi si parla di 20x30 ed anche meno: Avevo sempre viste fotografie di Bresson in libri dedicati alla sua arte, sul web, in riproduzioni e persino in pubblicità, eppure non avevo mai visto suoi libri originali o stampe d'epoca. Ed è stato proprio questo uno dei primissimi fattori che mi ha colpito in questa mostra e mi hanno fatto più compredere la grandezza della sua Fotografia.

La stampa, che siamo spesso abituati a veder riprodotta con canoni moderni di una riproduzione grande e molto contrastata, nella mostra è mediamente piccola, raramente supera il 20x30 appunto, e soprattutto non ha un forte contrasto e mascherature eccessive oltre ad avere, a causa dell'ingrandimento ridotto, pochissima grana. Questo fattore rende "diversa" la fotografia che conosciamo, sembra piatta e facciamo alcune volte fatica a riconoscerla ma se ci fermiamo un secondo davanti alla foto ne possiamo percepire la sua grandezza: non una grandezza frutto di un artificio ma per il concetto che esprime e per la sua forza concettuale. Siamo di fronte al concetto di "buona foto" rispetto a quello di "bella foto" che nell'opera di Bresson sembra una costante. La mostra segue un filo cronologico legato da alcuni filoni di sviluppo della sua opera e quindi tutte le foto sono in qualche modo collegate alla successiva come un tutt'uno e non come opera singola e quindi, a mio avviso, poco importerebbe se alcune sono frutto di una costruzione o sono spontanee.

Un altro aspetto interessante della mostra è stato poter vedere in un video della mostra gli scatti a colori in diapositiva realizzati dall'autore. Il colre viene visto come necessario in un momento in cui molte riviste si convertivano a questa nuova fotografia. Ebbene Bresson affronta il colore in modo magnifico, usandolo e non come una traslitterazione colorata della sua fotografia in bianco e nero. Per alcuni versi le sue diapositive mi hanno ricordato alcuni scatti moderni di Alex Webb

Alcuni principi rimarranno per Bresson costanti in tutta la vita e saranno dei principi cardine della moderna Fotografia, egli si esprimeva dicendo che a suo pare "la fotografia ha il potere di evocare e non solo di documentare. Dobbiamo fare astrazione dal vero", un principio assolutamente valido anche oggi a 10 anni dalla sua morte. 

The Paris Apartment

The Paris Apartment

Infine un ulteriore motivo di interesse per me è stata la composizione dell'immagine. Si parte da un aspetto tecnico che salta subito all'occhio: tutto il fotogramma è bene a fuoco, magari dovuto all'uso della tecnica dell'iperfocale a diaframmi chiusi. Tutta la scena è assolutamente leggibile, ed ogni elemento, anche il più insignificante, sembra essere in posizione perfetta. Tuttavia Bresson era un autentico credente del potere del caos, "La composizione si basa sul caso. Io non calcolo mai. Intravedo una struttura e aspetto che accada qualcosa. Non ci sono regole".  Sarà André Breton e la scuola dei surrealisti ad influenzare la fotografia di Bresson, il movimento e di conseguenza l'uso di tempi lenti saranno spesso presenti. Per lui "Il fotografo (e pazienza se sembra maleducato) deve prendere la vita di sorpresa, alla sprovvista".

Alla fine della mostra due frasi mi rimarranno  impresse come somma di tutta la magnifica opera di Bresson: "Per me la fotografia non è un lavoro, ma piuttosto un duro piacere; non cercare niente, aspettare la sorpresa, essere una lastra sensibile" e ancora "Quel che conta in una fotografia, è la sua pienezza e la sua semplicità".