Mi sono imbattuto in un articolo interessante di Chris Taylor nel quale si sostiene che il 99% delle foto scattate non interessa a nessuno, neppure a chi le scatta e rimarranno sepolte negli hd dei nostri computer o nei cloud. Chris asserisce che
“Le foto che scattate normalmente spariranno nel dimenticatoio per l’eternità, e sarebbe ora di farsene una ragione”.
Trovo estremamente interessante questa riflessione se guardo i miei hd e il mio smartphone. In effetti siamo passati da un’epoca in cui la perdita dell’immagine era dovuta al supporto (stampa e processi chimici) ad un epoca in cui la caducità dell’immagine è dovuta principalmente all’oblio. In una società dove tutto è immagine, nessuna immagine viene vista veramente.
Quanto tempo passiamo su Instagram o Facebook, forse molto più di quanto dovremmo ma quanto tempo dedichiamo ad ogni immagine che ci appare nel feed? Forse qualche secondo. Certamente, direte, siamo invasi dalle immagini come potrei contemplarle tutte? Ebbene, quante volte, allora, riguardate le immagini presenti nel vostro smartphone e per quanto tempo? Siamo diventati degli cercatori d’oro. Scattiamo migliaia di immagini alla ricerca di quella foto che ci regalerà una manciata di vana gloria nella giungla dei social network e le altre dormiranno un sonno infinito.
I ricordi non sono più solo nostri, varranno solo se avranno un riscontro sociale. L’immagine non è più finalizzata al ricordo personale, alla ricerca o allo studio ma verrà prodotta e ammassata in cloud o hd al solo scopo di generare una reazione in chi, forse, dedicherà qualche secondo a lasciare un like non tanto all’immagine ma a chi la posta, come a a dire “si, sto vedendo”.
Le migliaia di fotografie che accumuliamo alla ricerca di quella che ci renderà famosi rimarranno per sempre travolte dalla polvere digitale dell’illusione di essere un giorno scoperti come novelli Vivian Maier del futuro. Nessuna immagine racconterà nulla di noi in questa spasmodica ricerca della fotografia perfetta, postprodotta e masticata dai social network.
La dematerializzazione della fotografia si è portata via i nostri stessi ricordi.
Un tempo odiavamo le serate delle infinite proiezioni di diapositive a casa dello zio di ritorno dal viaggio esotico, oggi lo sintetizziamo in uno scatto sui social e tutte le foto del viaggio hanno un interesse per noi relativamente basso legato al momento della scelta dello scatto da postare o postprodurre. Però, nell’epoca in cui le foto si stampavano venivano anche contemplate e “viste”, raccontavano anche più di quanto raccontino oggi 20 scatti tutti uguali fatti al solo scopo di trovare la foto perfetta: la stessa fotografia non esiste più perché lo scopo diventa l’alimentazione del feed del nostro ego gratificato da una manciata di like. La dematerializzazione della fotografia si è portata via i nostri stessi ricordi, la nostra emozione del motivo dello scatto, dove esistono milioni di immagini nessuna immagine esiste più, neppure per noi.