Giocatori di carte

Milano, Stazione Garibaldi treno suburbano Milano-Novara

Ormai era già estate anche se a giudicare dal tempo avresti detto di essere in marzo. Avevo passato un po’ della mia giornata girando alla ricerca di qualche buona foto o nella speranza di trovare qualche spunto interessante, ma oltre alla noia ed a qualche riflessione su come avrei passato le prossime ore non avevo raccolto null’altro.

Così stancamente mi avviavo verso casa prendendo il treno suburbano. La Leica era riposta nella mia borsa e mestamente mi avviavo lungo il binario 10 per raggiungere le carrozze di testa dove sapevo di poter incontrare alcuni amici di viaggio. Si sarebbe parlato, come di consueto, del più e del meno e inevitabilmente anche di Fotografia. Non che avessi molto da dire, ma sicuramente mi faceva piacere parlare e condividere idee ed esperienze per quel breve viaggio che, data la situazione delle Ferrovie, poteva non esser poi tanto breve.
Trovati i miei due amici mi lasciai cadere, quasi esausto sul sedile e, superati i saluti di rito, alzai gli occhi sul resto della carrozza dal momento che occupavamo i primi sedili del vagone. Pochi sedili più avanti riconobbi alcune persone che prendevano quotidianamente lo stesso treno e che, come sempre facevano, erano in procinto di iniziare una partita a carte per ingannare il tempo del viaggio. Erano in tre e stranamente sembravano un po’ incerti. Nel vederli mi ricordai che era da molto tempo che mi sarebbe piaciuto aggiungere al mio portfolio di foto inerenti i viaggi pendolari delle foto simili, così senza neppure pensarci troppo presi la macchina fotografica, quasi senza neppure parlare con i miei compagni di viaggio scattai al volo una foto.
Quello scatto ebbe per me un effetto strano, mi resi conto immediatamente che non andava bene senza neppure rivederlo nel visore. Nella mia testa mi risuonarono immediatamente le parole di Robert Capa: “Se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino”: non potevo lasciarmi sfuggire quell’occasione!
Mi alzai e mi diressi verso le persone che giocavano a carte, mi posizionai sul loro lato opposto e prima che gli chiedessi se potevo scattare un paio di foto mentre giocavano, avevo già fatto due scatti. Non obiettarono granché così scattai rapidamente col 35mm. Non ebbi molto tempo per riflettere su come eseguire lo scatto perché non volevo abusare della loro disponibilità. Terminato gli scatti mi fermai un momento con loro e subito mi chiesero se sapevo giocare a tresette: non ho mai imparato quel gioco nonostante vedessi spesso giocare mio padre e mio zio, quindi la mia risposta fu abbastanza scontata. Alla successiva domanda, se conoscevo lo scopone scientifico, fui più incerto. Conoscevo il gioco come derivante dalla classica scopa ma non facevo una partita almeno da un decennio!
Comunque per ricambiare un pò la cortesia fui arruolato come quarto giocatore essendo vacante la posizione per quel viaggio. Salutai un pò a malincuore i mie amici di viaggio e mi sedetti con i giocatori.
Erano molto attrazzati avendo anche un piano di appoggio pieghevole. Diedero le carte ed inziai a giocare. Il mio unico pensiero fu quello di evitare di fare una figuraccia almeno nelle prime mani. Tuttavia più passavano i minuti e più mi rendevo conto di essere di fronte a persone che giocando tutti i giorni e che potremmo definire professionisti: ricordavano ogni carta giocata e non mancavano di farmi notare i miei errori: non vedevo l'ora di finire, ma purtroppo realizzai che la fine ci sarebbe stata solo quando avremmo raggiunto la stazione finale e le Ferrovie non sembravano aiutare molto visto il ritardo.
Fu un incubo ogni mano ma non potevo sottrarmi. Speravo solo che le foto fossero buone ma anche di quello non ero sicuro non avendole riviste.
Dopo innumerevoli partite finalmente giungemmo in vista della stazione, fui abbastanza lesto nell'alzarmi per poter finalmente abbandonare quella tortura. 
Ci salutammo cordialmente anche se avevo come l'impressione di avergli fatto perdere del tempo. Ognuno di noi si diresse verso i propri impegni.
Successivamente rividi spesso i giocatori di carte ma mi guardai bene dal salire sulla loro carrozza: l'incubo di quelle partite mi incute ancora angoscia e non c'è cosa più terribile che giocare in modo superficiale con giocatori appassionati.

La Signora dei piccioni

Castello Sforzesco, Milano Novembre 2006

La signora se ne stava lì e dava da mangiare ai piccioni in una calma irreale, il mondo circostante sembrava fermo, era così lontana dal caos cittadino che pure scorreva lì a pochi metri dove sedeva silenziosa.

La mia Zorki 4K

Ero in giro a sperimentare la resa sulla Leica M6 di un vecchio Jupiter 8, una lente 50mm russa a vite che avevo acquistato insieme ad una vecchia Zorki, russa anch'essa. Il crollo dell'Unione Sovietica aveva invaso ormai da svariati anni l'occidente di materiale fotografico russo. In particolare la Zorki era una copia sovietica delle Leica a vite così come le lenti che però, a dispetto della fragilità delle macchine, nella loro rozzezza e resa alquanto incostante permettevano di avere a poco prezzo un vetro di tutto rispetto. Ero intenzionato a verificare quanto di buono ci fosse in quel che si favoleggiava su questi vetri costruiti dai russi dopo aver invaso la Germania e letteralmente copiato la Leitz tedesca.

Dettaglio dello Jupiter 8

L'autunno era già inoltrato e l'inverno sembrava voler arrivare in anticipo, gli alberi intorno al Castello Sforzesco avevano creato un tappeto dai colori gialli e rossastri che pareva volesse ovattare i rumori provenienti dal traffico cittadino di una città frenetica come Milano anche all'ora di pranzo.
Avevo attraversato la grande piazza della fontana antistante il piazzale ma non avevo voglia di attraversare tutto il castello, così decisi di girare a sinistra e percorrere il breve percorso esterno delle mura. Subito dopo il mastio di destra, su una panchina, vidi una signora intenta a dare del cibo ai molti piccioni che le si erano radunati davanti. Scattai dapprima una foto d'insieme, la solitudine era sicuramente la prima sensazione che provai. 
Subito però mi avvicinai e cominciai a dialogare con signora che si mostrò molto contenta di scambiare quattro chiacchiere. Mi raccontò le sue passate vicissitudini di una vita che le pareva ormai lontana: era stata abbandonata dal marito tempo addietro ed ora viveva sola passando le giornate in una immensa solitudine. Avrebbe trascorso l'inverno a mare in Liguria presso parenti, infatti mi disse che aveva una figlia. Le piaceva venire nel parco e foraggiare i piccioni che l'accoglievano volentieri e l'ascoltavano più di quanto facessero gli esseri umani.
Quando andai via nel superarla non potei resistere dal girarmi verso di lei e la vidi ancora intenta nella sua attività, decisi di catturare ancora una volta quella immensa solitudine umana in uno scatto, l'ultimo.

La signora fu molto lusingata delle fotografie che gli feci e che avrei voluto lasciargli ma i giorni successivi non c'era più, pensai che fosse partita per il mare. Oggi mi rimane un ricordo estremamente triste di solitudine e speranza: la speranza di trovare un po di umano calore al di là di un parco autunnale silente ma foriero di rumorosi ricordi. Quel giorno fu anche l'ultima volta che utilizzai una lente russa su una Leica, ed oggi tutte le volte che guardo quelle ottiche e quelle macchine dell'ex Unione Sovietica non posso che ripensare a quell'incontro.

Piccola nota tecnica: Fotografie scattate con Leica M6, Jupiter 8 50mm f/2, Ilford FP4 Plus 125 pushed 200 ISO, sviluppato in Ilfosol S 1+9 7'30'' a 20°. Scansioni da negativo.