Castello Sforzesco, Milano Novembre 2006
La signora se ne stava lì e dava da mangiare ai piccioni in una calma irreale, il mondo circostante sembrava fermo, era così lontana dal caos cittadino che pure scorreva lì a pochi metri dove sedeva silenziosa.
Ero in giro a sperimentare la resa sulla Leica M6 di un vecchio Jupiter 8, una lente 50mm russa a vite che avevo acquistato insieme ad una vecchia Zorki, russa anch'essa. Il crollo dell'Unione Sovietica aveva invaso ormai da svariati anni l'occidente di materiale fotografico russo. In particolare la Zorki era una copia sovietica delle Leica a vite così come le lenti che però, a dispetto della fragilità delle macchine, nella loro rozzezza e resa alquanto incostante permettevano di avere a poco prezzo un vetro di tutto rispetto. Ero intenzionato a verificare quanto di buono ci fosse in quel che si favoleggiava su questi vetri costruiti dai russi dopo aver invaso la Germania e letteralmente copiato la Leitz tedesca.
L'autunno era già inoltrato e l'inverno sembrava voler arrivare in anticipo, gli alberi intorno al Castello Sforzesco avevano creato un tappeto dai colori gialli e rossastri che pareva volesse ovattare i rumori provenienti dal traffico cittadino di una città frenetica come Milano anche all'ora di pranzo.
Avevo attraversato la grande piazza della fontana antistante il piazzale ma non avevo voglia di attraversare tutto il castello, così decisi di girare a sinistra e percorrere il breve percorso esterno delle mura. Subito dopo il mastio di destra, su una panchina, vidi una signora intenta a dare del cibo ai molti piccioni che le si erano radunati davanti. Scattai dapprima una foto d'insieme, la solitudine era sicuramente la prima sensazione che provai.
Subito però mi avvicinai e cominciai a dialogare con signora che si mostrò molto contenta di scambiare quattro chiacchiere. Mi raccontò le sue passate vicissitudini di una vita che le pareva ormai lontana: era stata abbandonata dal marito tempo addietro ed ora viveva sola passando le giornate in una immensa solitudine. Avrebbe trascorso l'inverno a mare in Liguria presso parenti, infatti mi disse che aveva una figlia. Le piaceva venire nel parco e foraggiare i piccioni che l'accoglievano volentieri e l'ascoltavano più di quanto facessero gli esseri umani.
Quando andai via nel superarla non potei resistere dal girarmi verso di lei e la vidi ancora intenta nella sua attività, decisi di catturare ancora una volta quella immensa solitudine umana in uno scatto, l'ultimo.
La signora fu molto lusingata delle fotografie che gli feci e che avrei voluto lasciargli ma i giorni successivi non c'era più, pensai che fosse partita per il mare. Oggi mi rimane un ricordo estremamente triste di solitudine e speranza: la speranza di trovare un po di umano calore al di là di un parco autunnale silente ma foriero di rumorosi ricordi. Quel giorno fu anche l'ultima volta che utilizzai una lente russa su una Leica, ed oggi tutte le volte che guardo quelle ottiche e quelle macchine dell'ex Unione Sovietica non posso che ripensare a quell'incontro.
Piccola nota tecnica: Fotografie scattate con Leica M6, Jupiter 8 50mm f/2, Ilford FP4 Plus 125 pushed 200 ISO, sviluppato in Ilfosol S 1+9 7'30'' a 20°. Scansioni da negativo.